in effetti perché dovremmo pensare al nostro gomito destro o mancino che sia, c'è, è lì, ce l'abbiamo tutti, è una presenza concreta e costante, chi ci pensa in effetti?
e quando ci facciamo male al gomito che succede? succede che ci pensiamo, automaticamente il nostro cervello percepisce il dolore e ci ricorda che lui c'è, che non se n'è mai andato. Ci rendiamo conto della sua importanza solo quando abbiamo paura di perderlo, solo quando lo sentiamo danneggiato.
lo guardava come un quadro. guardare ma non toccare, è una cosa da imparare. comprati un mazzo di fiori, che poi ti do i soldi. non so, comprati un po' d'amore, un po' d'affetto, dai adesso ci sono anche i saldi. hai anche un bel po' di soldi rimasti da natale e dal compleanno anche se è stato qualche marzo fa. comprati un po' di sogni, che li abbiamo finiti ieri. se corri riuscirai a trovare forse anche qualche per sempre, ma avevo letto sul giornale gratuito delle 7 che di tutti questi per sempre non c'era molto da fidarsi, ma fai come vuoi. i soldi sono tuoi, ti rimborso tutto, tranne i per sempre. e un cuore nuovo?
i giorni si ripetono in un susseguirsi di immagini e di note senza tempo. cosa rimane di quell'anno passato ad aspettare, a controllare l'orologio ogni secondo per attendere un qualcosa di non ben definito. come rispondere alle chiamate notturne di quei giorni passati in apnea in mezzo a troppi libri e a troppi vocaboli inizianti per emme. e l'insicurezza dei passaggi obbligatori, di quando non si è ancora pronti, di quando per colpa del tempo siamo costretti a stare fuori casa a sentire il sole entrarci con forza nella trama della sciarpa trasportandoci in un gelido caldo d'inverno. e con le canzoni di una vita ritorni da me con un mazzo di penne in mano a chiedermi cos'ho ancora da dire. dopo tutto questo tempo. pioggiaesole cambianofacciaallepersone. la pelle morta delle emozioni passate, se mi cercherai. e sì, fa che gli sia dolce anche la pioggia nelle scarpe. tu che inutile non sei. ricominciamo lentamente come se fossimo in tre.
Non scrivo più non perché io non ne abbia voglia o quant'altro. Non scrivo più proprio perché non ho niente da dirmi. Parlano già troppo gli altri per non riuscire a capire quello che provo io in un secondo, durante la giornata. In effetti non servirebbero molte mani per giocare a carte, pensa se ci fossimo solo noi due in una piscina vuota ma con qualche salvagente buttato qua e là. A che servirebbe? Non scrivo più perché ci pensa già qualcun altro a farlo per me. Nel senso che i pensieri di qualcuno potrebbero diventare il mio diario giornaliero, una specie di manuale di sentimenti nel quale se cerchi alla voce L ti viene fuori 'Lasciami in pace". Ma è difficile lasciare in pace qualcuno, soprattutto se si è così indaffarati a percepire ogni piccola sfumatura di ciò che ci si piomba davanti. Non sembra tutto così di corsa e inafferrabile? E se poi ci parlassimo cosa cambierebbe? Tutte le domande che ha che ho verrebbero dette, ma tutte in una volta, con un solo fiato, tutte di colpo in mezzo ad una serata di sole luci artificiali e poi. queste domande rimarrebbero lì, in mezzo alle panchine di piazza bernini insieme ai Turet che riempiono Torino d'acqua. Ma facciamocele, queste domande, e prendiamo un po' il possesso della nostra vita, giusto per capire da che parte va guardata ed esaminata.
Infine, non chiedetemi perché, ma pensate piuttosto al come. e al seguito. e a voi.
"noi due siamo vivi? voglio dire, non in un luogo in cui vigono le leggi ordinarie che regolano i rapporti tra le persone, tantomeno i rapporti tra uomo e donna. Dove siamo, allora? Non m'interessa sapere dove, perché dargli un nome? Sarebbero comunque nomi loro, nomi tradotti, e con te voglio una costituzione diversa di cui saremo noi a fissare le leggi. Parleremo una nostra lingua e racconteremo le nostre forze, perché in mancanza di un luogo privato come questo -dove quello in cui crediamo si realizzerà anche solo per iscritto- la nostra vita non sarà tale; o peggio ancora? La nostra vita sarà solo una vita... sei d'accordo?"
quando ti parlavo di normalità. era questo che intendevo, una leggera sfumatura di un colore leggero/dispregiativo per una pennellata di sale in mezzo alla tua fronte. era questo che intendevo, che sarà come sarà se sarà vero, diceva De Gregori. dovrei provare qualche volta a vivere con le mie idee, e non con le simpatie degli altri, riessere me stessa e non Alessandro o Margherita che non esisteranno mai, incidentalmente. In definitiva io esisto, io sono quindi ci sono. e tu ci sei. e poi c'è lei sempre di fianco a te, e io che vorrei dirgli tutto quanto di me, ma hanno ragione gli altri quando parlano di perfezione che inonda la mia mente, la sua perfezione mi fa sentire bene e quello che c'è da dire, da far sapere svanisce in un istante. parliamo di loro. di me. se stessi sbagliando tutto me ne accorgerei. e tu. sorridi, ogni tanto. non essere così fottutamente geloso, reagisci alla tua prigione personale vai in bici e senti il vento tagliente e stronzo sulla faccia. il vento, è il vento che è stronzo. non gli altri. sei arrivato per restare, vero?
-abuso di pronomi personali e di me te noi miei tu. per non capire meglio ciò che si ha da dire.-
Alla fine l'equilibrio interiore non è da cercare. Forse ce l'abbiamo già, e più ci muoviamo o agitiamo o altro, e più ce ne allontaniamo.
come se tutta questa pioggia fosse intensificata per un momento. come se dovesse arrivare ora un finale a cinque stelle che s'impregna di infanzia e qualche colore così, a caso. a volte ti capita di fermarti troppo spesso e di cercare di capire perché ci fermiamo quando il semaforo è rosso e perché camminiamo quando il semaforo è verde. Sono convenzioni, mi ripeti, è stato qualcuno che ha deciso che il rosso è il colore più forte, è quello che diventa sinonimo di male di sbagliato di. mentre il verde, che è quello dei prati e del maglione di Aidi è più dolce, più semplice, più guardabile, più mobile. e l'hai deciso tu, l'abbiamo deciso insieme i nostri occhi ci permettono di capire la forza dei colori e. tutto il resto.
Come l'equilibrio interiore, come la notte atomica, come le ciminiere e come l'estate lontana e fredda che incomincia a farsi sentire. tra le vene, e tutto ciò che potrebbe arrivare al tuo cervello.
Perché sono una sbagliona, come avevo scritto a qualcuno un po' di tempo fa. Sono Alice la Sbagliatrice, e sbaglio e non me ne accorgo oppure me ne accorgo ma faccio finta di niente.
Come quando si fanno le equazioni e sono sicura di conoscere le regole, le ho studiate trecentocinquantadue volte e quindi sono sicura di saperle bene, i termini opposti si elidono e le ics vanno da una parte e i termini noti dall'altro. ma sbaglio i calcoli, le banalità che tanto odio diventano mie nemiche. un tre per sei diventa tredici e così arrivo alla fine e la prova viene sbagliata. ed è tutta colpa mia, non del libro che spiega male o del tempo che fa. è soltanto colpa mia, mia e della mia testa che pensa a tutto tranne a quello che deve fare.
Vorrei sapere dove sei questa notte, mentre qui sono le quattro e non riesco ad addormentarmi. Vorrei sapere cosa stai facendo e con chi sei, e che faccia hai, se ti ho già incontrato o ci siamo solo sfiorati qualche volta, se siamo sempre stati distanti senza il minimo punto di contatto. Vorrei sapere se ci incontreremo e quando. Se ci incontreremo troppo tardi o appena in tempo, o ci incontreremo ma non riusciremo neanche a capire che eravamo noi e quanto eravamo importanti uno per l’altra. Io credo che ti riconoscerei subito, anzi sono sicura. Mi basterebbe guardarti negli occhi un attimo per capire chi sei tu, o solo guardarti entrare in una stanza. Mi basterebbe un secondo, o meno. Però adesso dove sei? Adesso che sono così sola triste e senza speranza, dopo tutti questi uomini vili e freddi e mammoni e indifferenti e sadici e semplicemente sbagliati? Dove sei? E ci sei, poi?
entrarmi nella testa dev'essere un modo atroce per assimilare energie. sentiresti un fischio fittizio nelle orecchie notte e giorno. non credo possa essere pienamente rigenerante entrare nei miei pensieri.